Il
problema è la politica non la finanza
Di
Carlo Pelanda (14-9-2009)
Un anno fa, in questi giorni, fallì Lehman
Brothers. L’impatto simbolico fece crollare la
fiducia nel mercato globale, che precipitò. Da marzo
il mondo è in ripresa. Ora è possibile analizzare con calma la storia della
crisi, ripulirla dai miti, ed usarla come lezione per il futuro.
Che la crisi sia nata perché la finanziarizzazione
dell’economia è cattiva è il mito più importante da smontare. Il cataclisma
iniziò alla fine del 2006 in America perchè si incrociarono
tre fattori, due sistemici ed uno contingente: (a) la legislazione populista
statunitense, in particolare dal 1997, che permette accessi senza controlli di
consistenza al credito, in particolare ai mutui; (b) la mancata regolazione del
sistema finanziario da parte della politica, con la complicazione della nuova
legge bancaria statunitense del 1999 che permetteva di spostare il risparmio
verso speculazioni acrobatiche condotte con mezzi opachi; (c) l’improvviso
rialzo del costo del denaro per contenere l’inflazione, dopo un periodo di
tassi minimi, che rese insostenibili per molti americani le rate a tasso
variabile dei mutui. Le insolvenze contaminarono i prodotti finanziari
sintetici basati sui mutui stessi e ciò fece crollare la fiducia anche nel
resto del ciclo finanziario globale, congelando la
liquidità. Nell’estate del 2007 le Banche centrali iniziarono a compensarne la
mancanza con azioni d’emergenza. Ma ciò finanziò la
crisi e non la soluzione. Il credito restava bloccato, le banche restie a
ricostruire i patrimoni e ripulire i bilanci, la Riserva federale senza
poteri per costringerle, il governo, troppo influenzato da interessi privati,
indeciso nel darglieli. Lehman Brothers
fu lasciata fallire, probabilmente, per dare il segnale che così non si poteva
andare avanti. In questa storia, pur semplificata, si trova
facilmente che il colpevole principale è il sistema politico statunitense sia
incapace di fare il mestiere di regolatore stando dietro alle innovazioni della
finanza sia ammalato di populismo economico. Gli enti che erogarono e finanziarizzarono la gran parte dei mutui insolventi furono agenzie governative e non istituti privati. La
finanza non regolata, ovviamente, divenne più acrobatica e predatoria
per motivi di concorrenza. Ma la colpa principale è
stata della politica. Anche in Europa. Qui le banche
saltarono o andarono in crisi di liquidità, come in Italia, per il rapporto
sbilanciato tra patrimonio e operazioni a debito, sintomo evidente di una
mancata regolazione. La responsabilità politica è massimamente evidente nella
crisi delle Landesbank in Germania possedute dagli
enti locali. La finanziarizzazione è come la tecnologia
nucleare. Se ben regolata produce tanta energia pulita
a basso costo, se non lo è diviene distruttiva. La politica non ha ben
regolato, o per incomprensione o per interessi opachi, l’industria finanziaria
e questa si è inceppata. La demonizzazione del settore
finanziario e le invocazioni di regolazioni punitive nasce
dalla paura dei politici di farsi imputare e conseguente necessità di trovare
un capro espiatorio. In realtà la finanza evoluta permette di rendere il
capitale abbondante per l’economia reale. Va regolata non per comprimerla, ma
per darle basi di certezza utili a reggere l’espansione del suo ciclo tecnico. Se la regolazione sarà restrittiva e non espansiva mancherà nel
mondo circa 1/3 del capitale finanziario necessario alla ripresa e questa si
trasformerà in stagnazione prolungata, anche in Italia. L’analisi
realistica del passato serve ad evitare questo errore
devastante nel prossimo futuro.
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